Cogliere e poi comprendere il grado di acidità di un vino è un fattore decisivo per poter godere appieno di questa caratteristica distintiva del prodotto.
Riuscire a penetrare il concetto di acidità applicato al vino è innanzitutto utile per meglio definire un gusto che determinerà una preferenza tendenziale. Inoltre, è utile per potersi meglio orientare nell'abbinamento fra vino e cibo.
L’acidità è una delle cinque caratteristiche fondamentali del vino (le altre quattro sono la struttura, la presenza di tannini, l’alcolicità e la dolcezza). In pratica, è quel quid che conferisce alla bevanda il suo sapore aspro ed "elettrizzante" (nella percezione di vivacità). Da un punto di vista chimico, tutti i vini tendono però al lato acido dello spettro del pH: la maggior parte delle bottiglie esprime un range che varia da un pH di 2,5 a circa 4,5 (dove 7 indica il neutro).
Se la sensazione dell’acido è predominante, si parla allora di un sapore acidulo: è questo il termine che viene comunemente utilizzato per descrivere la particolare sensazione donata da un vino con il pH molto basso. L’effetto è percepito ai lati della lingua, nella parte basale posteriore, ma anche dalle papille gustative che ricoprono guance e palato. Come effetto secondario si segnala la stimolazione della salivazione (e da qui dipende la nota rinfrescante attribuita ai vini più acidi).
Ci sono diversi tipi di acidi nel vino, che ne influenzano appunto l’acidità. Quelli più diffusi sono il tartarico, il malico e il citrico.
Acidità e pH del vino: perché sono importanti
Il pH del vino è un fattore importantissimo per garantire la qualità di una bottiglia. Dagli acidi naturalmente presenti nell’uva e poi preservati o stimolati con la vinificazione può dipendere il sapore equilibrato del prodotto così come la sua buona conservazione. Proprio il pH basso è l’arma con cui il vino riesce a difendersi da batteri e lieviti dannosi e a preservarsi nella sua struttura.
In generale, infatti, l’acido è l’unico dei gusti a non variare con i cambi di temperatura, motivo per cui gli elementi acidi vengono spesso utilizzati per la conservazione dei cibi. E succede così anche con il vino.
Tutti gli acidi sono utili per contrastare l’ossidazione (tale caratteristica è nota in cucina: l’esempio più comune è quello della goccia di limone lasciata cadere sulle mele, le patate e i carciofi, per impedirne l’annerimento). Per il vino, prevenire l’ossidazione significa preservare la stabilità chimica del prodotto e mantenerne a lungo inalterata la freschezza.
Gli acidi nel vino contribuiscono quindi non solo a caratterizzare il sapore ma anche, così come abbiamo già accennato, a donare freschezza. Un vino con un'acidità ben bilanciata risulterà infatti più vivace e fresco al palato.
Acidi del vino
L'acidità fissa nel vino è data dalla presenza di acidi non volatili che non si disperdono durante il processo di vinificazione o una volta che il vino è pronto a essere stappato. I principali acidi fissi presenti nel vino sono quelli che già abbiamo elencato: il tartarico, il malico, il citrico e il lattico. E ognuno di essi contribuisce in modo diverso alle proprietà organolettiche della bevanda.
Acidità fissa (acido tartarico, acido malico, acido lattico)
L’acido tartarico è il più abbondante nell'uva: è fondamentale perché contribuisce alla stabilità chimica del prodotto, aiutando a prevenire l'ossidazione e alla conservazione del colore. Il malico è un acido primario che abbonda nell’uva non matura e da esso dipende la nota più fresca e fruttata che caratterizza i vini giovani (soprattutto i bianchi). Durante la fermentazione malolattica viene convertito in acido lattico, il che rende il vino più morbido.
L’acido lattico è un prodotto secondario che compare appunto con la fermentazione alcolica. Oltre a determinare la morbidezza della bevanda dà anche un apporto fondamentale in termini di freschezza.
Infine, c’è l’acido citrico, che però è presente in quantità assai ridotte rispetto agli altri acidi già citati. Anche esso ha un’importanza rilevante per la vinificazione: riesce ad aggiungere sfumature di freschezza e vivacità.
Acidità volatile (acido acetico)
La faccenda si fa un po’ più complicata nel momento in cui bisogna considerare anche il fattore dell'acidità volatile, che nel vino è principalmente rappresentata dall'acido acetico. Vale a dire l'acido che si esprime nell'aceto.
Siamo abituati a dire che un vino corrotto o andato a male diventa aceto. E, di fatti, questo è l’effetto principale (sgradevole al palato) di un eccesso di acidità volatile prodotta dai lieviti e dai batteri durante la fermentazione alcolica e malolattica. Ciononostante questa particolare tipologia di acidità è importante per il sapore e la qualità del vino.
Un livello moderato di acido acetico è tollerabile. Anzi, fa bene: premia il vino con l’apporto di una piacevole freschezza e qualche sfumatura acre di contrasto. Quando l’acido acetico è abbondante significa che qualcosa è andato storto e che la vinificazione non ha dato l’effetto sperato.
Freschezza del vino e acidità
Un punto in meno di pH può fare una grande differenza. Nel senso che un vino con pH 3 è molto, molto più acido di un vino con pH 4. Perché? La risposta è matematica: quella del pH è una scala logaritmica; quindi, succede che un vino con un pH pari a 3 può risultare anche dieci volte più acido di un vino con un pH pari a 4.
Ma, come accennato, l’acidità è determinante anche per la freschezza. Il pH basso bilancia gli zuccheri e l'alcol, rendendo il sapore più armonioso. L’effetto “rinfrescante” dipende dal fatto che l’acido stimola le papille gustative, invitando la bocca a concedersi un altro sorso e a produrre saliva per lubrificare la lingua.
Vino piatto (scarsa acidità)
L’acido fa il suo dovere se aggiunge nitidezza ai sapori e riesce a farsi cogliere con la caratteristica sensazione di formicolio ai lati della lingua e suggerendo un buon retrogusto. Quando invece l’acidità è scarsa, il vino può risultare piatto.
Ecco perché i produttori stanno attentissimi durante la vinificazione all’acidità totale del prodotto: ci vuole sempre una sufficiente acidità affinché la bevanda non sia senza carattere e monotona. Con un vino piatto, tutti i suoi sapori sono meno definiti.
Vino abbastanza fresco
Un vino abbastanza fresco è quello che rivela una buona acidità anche se non intensa. Si tratterà dunque di un vino che offre una piacevole sensazione di vivacità, equilibrato e mediamente rinfrescante (con un'acidità che bilancia il dolce e l'alcol).
Vino fresco
Un vino diventa invece fresco proprio quando l'acidità è più marcata: è il caso dei vini bianchi giovani e di alcuni rosati, i quali appunto beneficiano di una buona acidità che permette di esaltare i loro aromi fruttati.
Vini come il Soave DOC, prodotto principalmente dall'uva Garganega, il Verdicchio e il Bianco dei Neri, prodotto dalle Cantine Neri, sono tipici esempio di bottiglie note per la loro freschezza e per i loro profumi originali. Ma anche i rossi possono risultare leggeri. Succede per esempio con il Lambrusco di Sorbara e il Volpicello Valpantena.
Vino acidulo (acido oltre misura)
Un vino acidulo ha un'acidità troppo alta. Si parla infatti di sapore acidulo quando il pH è sotto il livello ideale di equilibrio. Di base, ci troviamo di fronte a un gusto percepito come sgradevole perché troppo aspro, o comunque con un’acidità che sovrasta gli altri sapori. In questo senso è fondamentale la dolcezza: un vino molto acido può essere bilanciato dagli zuccheri presenti nell’uva o aggiunti, come nel caso degli spumanti brut.
In generale, per vini come lo Champagne e altri spumanti, il livello di acidità è importantissimo anche per il processo di vinificazione, e per questo le uve vengono spesso raccolte non ancora mature e con livelli di acidità più elevati.
Come misurare e correggere l’acidità del vino
L'acidità nel vino è una materia complessa. L’invecchiamento in botte, per esempio, può modificare il pH di un vino. Inoltre i produttori possono anche aggiungere acidi al prodotto (in un processo chiamato appunto acidificazione) per ottenere sapori più bilanciati. Succede non di rado dove fa molto caldo e le uve vengono spesso raccolte a stadi avanzati di maturazione con alti livelli di zuccheri e livelli bassi di acido.
La fase più delicata è quella dell'invecchiamento, perché è in quel momento che la maggiore acidità diventa più evidente per gli assaggiatori, che sono chiamati a decidere se il prodotto va migliorato.
Non è così facile nemmeno misurare la quantità di acidità nel vino. Come si può misurare una sensazione? I produttori parlano di acidità totale in relazione a un test chimico che fornisce il totale di tutti gli acidi presenti. Ma la forza dell'acidità viene misurata in base al pH, dove più basso è il pH e maggiore risulta l'acidità del vino, anche se non esiste una connessione diretta tra acidità totale e pH. Nel senso che ci sono vini con un pH elevato ma un’acidità marcata.
Il processo contrario all’acidificazione è la disacidificazione, e può avvenire sui mosti o sui vini. Di norma si effettua mediante l'utilizzo di basi deboli, sia organiche che inorganiche. La sostanza più usata è il bicarbonato di sodio. Di solito, però, è consigliabile effettuare il trattamento sul vino e non sui mosti, in quanto si ottengono migliori risultati sulla stabilità tartarica.