Tanto facile da bere quanto difficile da creare: dietro ogni spumante c’è un affascinante processo di produzione codificato chiamato spumantizzazione.
Dalla sua origine storica (il primo vero spumante dovrebbe essere stato servito nella seconda metà del XVI secolo; per la canonizzazione bisogna attendere i Gancia nel XIX secolo), sono stati sviluppati diversi processi di spumantizzazione. Ognuno di essi ha grande dignità formale e dà forma a un sottotipo unico di vino spumante.
Ci sono dunque diversi metodi di produzione. Tutto parte però dalla fermentazione dello zucchero in alcol durante la vinificazione, un processo che comporta il rilascio di anidride carbonica. La CO2 ha una caratteristica particolare: è assai solubile in acqua. Ed è proprio questa proprietà a essere sfruttata per poter creare i vini spumanti.
La produzione ha sempre inizio da un vino base dove l'anidride carbonica della prima fermentazione è stata gassificata. La base può ovviamente essere anche una miscela di vini provenienti da diverse varietà di uva e diverse cantine: una particolare cuvée. Poi, con modalità differenti in base al metodo di produzione, il vino subisce una seconda fermentazione... Si tratta del passaggio fondamentale per far sì che l'anidride carbonica generata dalla pressione possa legarsi al liquido. Ed è così che si crea il contenuto di anidride carbonica che, dopo l'apertura della bottiglia, produce le bollicine.
Le cellule di lievito morte formano un precipitato chiamato feccia, fondamentale per dare a certi spumanti un determinato aroma ma davvero poco invitante come aspetto… Ed ecco spiegato perché le fecce vengono opportunamente rimosse.
Il Metodo Classico o Champenoise
Il metodo più apprezzato per la produzione di spumante di alta qualità (e anche il più costoso) è quello classico, anche noto come méthode champenoise (dal luogo d’origine: la regione francese dello Champagne) o méthode translationnelle. Si tratta del processo che conduce alla produzione di vini come il Cava, lo Champagne, il Crémant, alcuni Sekt, e tanti vini italiani metodo classico (inclusi il Franciacorta e il Trento).
Tale metodo rivela una pressione della bottiglia di 5-7 atmosfere (circa 75-99 psi) ed è stato riconosciuto come patrimonio UNESCO in Champagne nel 2015. Di norma si parte da una cuvée… L’uva viene raccolta leggermente acerba per preservare l’acidità e fermentata in un vino secco. Poi l’enologo miscela vari vini base per creare la miscela utile. Alla base si aggiungono lieviti e zuccheri per avviare la seconda fermentazione. Dopodiché i vini vengono imbottigliati e chiusi con tappi a corona.
La seconda fermentazione è il momento più delicato del processo. Per il metodo classico, l’azione deve avvenire all’interno della bottiglia e far aumentare la percentuale alcolica di circa l’1,3%. Inoltre è fondamentale che venga prodotta la giusta quantità di CO2. A questo punto il lievito muore in un processo chiamato autolisi.
Tali vini invecchiano sui lieviti per sviluppare l’opportuna consistenza. Lo Champagne richiede almeno quindici mesi, che diventano trentasei per lo Champagne d’annata. Il Cava richiede almeno nove mesi (trenta per il Gran Reserva Cava). La presa di spuma (in francese prise de mousse) è il procedimento fondamentale che porta il vino a diventare spumante… Le bottiglie vengono accatastate in orizzontale (sur lattes) in cantine con umidità e temperatura costanti e protette da vibrazioni, rumori e odori. Bisogna anche preoccuparsi che ci sia una luce scarsa. La luce potrebbe infatti provocare la riduzione del vino. Proprio per questo motivo il vetro delle bottiglie è scuro.
La chiarificazione (chiamata remuage) avviene capovolgendo la bottiglia per raccogliere le cellule di lievito morte nel collo. A questo punto si interviene con lo sgorging, ovvero con la rimozione del sedimento congelato. Subito dopo arriva il momento del dosaggio, cioè dell’aggiunta di una miscela di vino e zucchero (il cosiddetto liquore di dosaggio) per riempire la bottiglia, che viene poi tappata, sigillata ed etichettata.
Il Metodo Charmat o Martinotti
In Italia, dal XX secolo in poi, si è sempre usato un altro metodo: quello da serbatoio o cisterna, anche noto come Charmat, Martinotti o cuvée close. Si tratta del metodo sfruttato per ottenere il Prosecco, l’Asti e il Lambrusco e altri spumanti con pressione in bottiglia di 2-4 atmosfere (30-60 psi). Il nome del processo deriva dal villanovese Federico Martinotti, direttore dell'Istituto Sperimentale per l’Enologia di Asti, che a fine Ottocento inventò e brevettò il metodo poi definito della rifermentazione controllata in grandi recipienti. Nel 1910, il francese Eugène Charmat costruì e brevettò in Francia l’attrezzatura inventata da Martinotti. Per questo il metodo ha oggi un doppio nome.
Può essere definito come un metodo industriale basato sull’uso di una cisterna, o meglio di autoclave (grande serbatoio di acciaio inox). Non si lavora infatti sulla bottiglia singola: i vini base vengono aggiunti insieme alla miscela di zucchero e lievito (il tirage) in una grande cisterna. Il vino sottoposto a una seconda fermentazione fa si che la CO2 rilasciata provochi la pressurizzazione del serbatoio, dopodiché i vini vengono filtrati, dosati (con liquore Expedition) e imbottigliati senza invecchiamento.
I vini spumanti con metodo in cisterna hanno un carattere molto più fresco ed esprimono sapori secondari più forti (per via del lievito). C’è chi sostiene che il metodo in cisterna non possa essere paragonato alla produzione di alta qualità del metodo tradizionale, ma si tratta di un falso mito: sebbene il processo sia più conveniente e molti vinificatori sfruttino anche uve di qualità inferiore, il metodo Marinotti è comunque utilizzato per la vinificazione di spumanti di grande qualità. Con questo metodo si ottengono in genere spumanti freschi e fruttati, con bollicine più grandi e meno persistenti rispetto a quelle prodotte dal metodo classico
Il Metodo tradizionale sui lieviti
Il metodo ancestrale, anche conosciuto come rurale, Pet-nat (da Petillant naturel) o tradizionale sui lieviti, è il processo che conduce a spumanti come il Loire e lo Jura, con pressione della bottiglia di 2-4 atmosfere o 30-60 psi.
Per ottenere lo spumante, con questo metodo, si utilizza il freddo. Le temperature gelide e la filtrazione riescono infatti a mettere in pausa la fermentazione a metà processo per un periodo che può durare vari mesi. I vini vengono poi imbottigliati e la fermentazione può essere portata a termine, intrappolando la CO2 nel recipiente finale.
Quando viene raggiunto il livello desiderato di CO2, i vini vengono nuovamente raffreddati, punzecchiati e sboccati proprio come nel metodo tradizionale. La differenza è che qui non viene aggiunto alcun liquore di dosaggio e non si zucchera. Il risultato è uno spumante più rustico, con un profilo aromatico unico e spesso un po’ torbido a causa dei lieviti non filtrati. Cantine Neri propone uno spumante metodo tradizionale a base di Grechetto: un mirabile esempio di spumante in grado di raccontare l’autenticità del territorio.
Si chiama metodo ancestrale, ma non sappiamo se si tratta davvero di una delle prime forme di spumantizzazione.
C’è infatti chi sostiene che il primo metodo usato sia quello oggi meno diffuso: quello russo che prevede un'aggiunta continua di lievito in serbatoi pressurizzati, rendendo così possibile l’aumento della pressione fino a 5 atmosfere. Spostati in un altro serbatoio, i vini sono arricchiti con lievito e trucioli di legno galleggianti. Un altro giro in serbatoi pressurizzati fa poi sì che arricchimenti e lieviti si depositino. Anche se le prime attestazioni di spumante, come abbiamo detto, risalgono a produzioni italiane e francesi del XVI secolo, qualche storico crede che il vino frizzante potesse essere conosciuto già dagli antichi Romani… In effetti alcuni scritti di epoca classica parlano di rinomati vini campani amati dai nobili per la loro effervescenza naturale.